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  • Cultura pedagogica

Le immagini parlano: la fotografia al nido

“Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.”
Henri Cartier-Bresson (fotografo francese)

 

Questa citazione potrebbe bastare da sola a spiegare perché e come fotografiamo nei contesti educativi. In questo articolo proviamo a “spacchettarla”, ragionando sulle parole che contiene e raccontando al contempo un po’ di noi.

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L’importanza di trasmettere

La vita dei bambini al nido è ricca, anzi ricchissima di eventi: ogni bambino, ogni giorno, vive momenti importanti della propria crescita assieme agli altri. I momenti importanti non sono solo le prime parole o i primi passi, ma anche altri, apparentemente meno centrali, come allungare una mano e riuscire a prendere un oggetto, provare ad aiutare un altro bambino a infilare il calzino dopo la nanna, servirsi l’insalata da solo con le pinze o osservare un lombrico che scava la terra, accanto ad altri bambini. Ogni situazione in cui il bambino prova, agisce, osserva, esprime, esplora e scopre gli oggetti, gli spazi e le persone che sono con lui, sperimentando al contempo le sue nuove potenzialità, può essere un evento di crescita.

È compito del nido trasmettere tali eventi ai genitori dei bambini, per creare continuità tra nido e casa, per coinvolgere il genitore che non ha potuto essere presente in quelle occasioni e per diffondere una cultura dell’infanzia che sappia dare importanza ai piccoli gesti, agli sguardi, alle azioni dei bambini, guardando contemporaneamente dietro lo specchio, al significato di tali gesti, sguardi e azioni. I bambini fanno piccole cose che hanno un grande significato, sta a noi riconoscerlo.

È sempre Cartier-Bresson a dire: “In fotografia le cose più piccole possono diventare un grande soggetto. Un minimo dettaglio umano può diventare un leitmotiv.”  Potremmo sostituire la parola “educazione” a “fotografia” e questa affermazione rimarrebbe vera.

 

Gli eventi del nido non possono essere raccontati tutti a parole al momento del ricongiungimento o in un diario, perché le parole non sempre riescono a tradurre la realtà. Il linguaggio della fotografia spesso riesce a trasmettere più efficacemente non solo l’evento, ma il suo significato, perché la fotografia parla anche per mezzo del vissuto dell’educatrice/fotografa. In questo senso fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.

La mente

Perché per fotografare un evento significativo in ambito educativo occorre conoscere profondamente lo sviluppo infantile in generale, avere chiaro lo sviluppo di quei bambini in particolare, saper preparare il contesto nel quale quei bambini potrebbero introdurre gesti, sguardi e azioni nella loro zona prossimale di sviluppo, e infine aver elaborato un progetto educativo per loro.

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Gli occhi

Perché solo se si sa osservare in modo competente le situazioni educative e i bambini è possibile riconoscere e quindi cogliere l’evento significativo. Il fotografo statunitense Walker Evans ci dice infatti: “Osservare. È il modo di educare il tuo occhio, e altro ancora. Osservare, curiosare, ascoltare, ascoltare di nascosto.” Le educatrici passano anni ad allenare il loro occhio; serve tempo, servono molte situazioni nelle quali rendersi conto che sta succedendo qualcosa di importante, per riuscire a riconoscere e cogliere.

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Il cuore

Perché nell’immagine che si sceglie di condividere con le famiglie dei bambini c’è molto anche dell’educatrice stessa. Il suo modo di interpretare il ruolo educativo, il suo stile, il suo investimento in termini di tempo, pensiero, energie, allestimento degli spazi, progettazione, interazione con i bambini, strategie educative e una molteplicità di momenti trascorsi assieme, a vivere le stesse esperienze, a osservare, educare, coccolare, consolare, meravigliarsi, disilludersi e comprendere le piccole persone che accompagna nella crescita.

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Il potere di evocare

In un’immagine che scegliamo di appendere alla parete, di inserire in un diario, di mostrare durante un colloquio tra educatrici e genitori, può essere condensato molto più di quell’attimo di vita. Una sola immagine, può parlarci di molti temi, che ci rimandano a ciò che i bambini stanno vivendo, ma anche a ciò che ha portato a questo risultato e che magari evolverà in futuro.

Il progetto che è stato elaborato, le esperienze collegate a quel momento, le parole che sono state dette in quel contesto, prima e dopo, si riassumono in un’immagine.

Esserci senza esserci

Al nido d’infanzia, per avere una sola immagine utilizzabile per la pubblicazione su una bacheca, un diario, una rivista, dobbiamo scattarne decine, perché c’è sempre qualcosa che non va: la luce, i colori, è mossa, lo sfondo è disordinato, una bambina sta guardando nell’obiettivo. Di tutte queste fotografie, ne possiamo tenere una, due o tre e dobbiamo buttare le altre.

 

Per avere un’immagine come questa a fianco, che ha un suo chiaro focus che vogliamo far emergere, che parla, con la giusta luce, in movimento ma non mossa, in cui emerge la concentrazione e che questi bambini stanno studiando la relazione tra fascio di luce, oggetto e forma dell’ombra, ci vuole conoscenza del gioco dei bambini, del bambino specifico, dell’azione di un certo contesto sul loro comportamento; quindi tempo, sguardo, visione e capacità di esserci senza esserci.

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Come sappiamo, ogni nostro movimento e interazione durante l’azione dei bambini la modifica. Scattare una fotografia implica sempre un rischio di intrusione. Questo può essere necessario in alcuni contesti, ma estremamente disturbante in altri. Sappiamo anche quanto i bambini oggi siano sensibili alla presenza di smartphone, macchine fotografiche e tablet in mano agli adulti mentre loro giocano. Il rischio è quello di invadere un momento importante di relazione, cura, gioco o esplorazione, irrompendo con la tecnologia nel loro mondo per carpirne un pezzettino. Sarà quindi importante esserci con lo sguardo per saper cogliere i momenti e al contempo non esserci mettendo subito al primo posto la nostra attrezzatura.

 

La discrezione va esercitata nel momento in cui ci si trova di fronte a situazioni sensibili dal punto di vista della vicinanza ai soggetti coinvolti e alla loro vita quotidiana. È compito degli adulti tutelare in ogni momento la riservatezza e la fragilità dei bambini, in modo da non invadere mai il loro mondo e non oltrepassare la soglia di quella sensibilità che ciascuno possiede.

Diamo tempo ai bambini per entrare nel gioco, fino a che si dimenticano quasi della nostra presenza e di ciò che abbiamo in mano e poi scattiamo le fotografie quando nessuno è più interessato a noi.

In altri momenti, i bambini stessi vengono coinvolti nell’utilizzare il tablet per fare fotografie, per osservare il mondo attraverso una lente e in questo modo conoscere l’elemento, abituarcisi e utilizzarlo anche per esperienze educative. Ma questa è un’altra interessante storia, quella della media education.

Puoi trovare altre indicazioni utili su questo argomento nell’articolo Come fotografare i bambini al nido.

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